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Cosa succede dopo il referendum

Martedì, 22 Settembre 2020. Nelle categorie Cronaca, Primo Piano, Notizie

Cosa succede dopo il referendum

I seggi alla Camera passeranno da 630 a 400 e quelli al Senato da 315 a 200

Il Sì con oltre il 69 per cento, vince al referendum costituzionale sul taglio del numero dei parlamentari, mentre il No si è fermato a poco più del 30. È la più importante modifica dell’assetto istituzionale nella storia della Repubblica italiana e sarà applicata dalle prossime elezioni: dunque nel 2023, se si arriverà alla scadenza naturale di questa legislatura.

I seggi alla Camera passeranno da 630 a 400 e quelli al Senato da 315 a 200: una riduzione di circa un terzo. Oggi ci sono un deputato ogni 96 mila abitanti e un senatore ogni 188 mila abitanti: con il taglio ci saranno un deputato ogni 151 mila abitanti e un senatore ogni 302 mila. Diminuirà dunque sensibilmente il numero di rappresentanti per abitante, ma l’Italia resterà nella media degli altri paesi dell’Europa occidentale. Nel fare paragoni con gli altri paesi europei, si dovrebbe però andare oltre la sola misura quantitativa: in molti paesi europei, infatti, le seconde camere hanno prerogative diversificate.

Il numero minimo di senatori per regione scenderà da 7 a 3 con l’eccezione di Trento e Bolzano, equiparate alle regioni, che ne manterranno 3, mentre per il Molise resteranno 2 e uno per la Valle d’Aosta. Con l’approvazione della riforma diminuiscono anche i parlamentari eletti all’estero che passeranno da 6 a 4 per il Senato e da 12 a 8 per la Camera. I senatori a vita nominati potranno inoltre essere al massimo 5 contemporaneamente: in precedenza, per un’ambiguità interpretativa, 5 era stato inteso come il numero massimo di nomine per ciascun presidente, senza contare i senatori a vita già in carica.

Secondo l’Osservatorio dei conti pubblici italiani di Carlo Cottarelli, dopo la riforma i risparmi saranno di 57 milioni l’anno, pari allo 0,007 per cento della spesa pubblica italiana: più o meno un caffè (95 centesimi) all’anno per ciascun italiano.

Dopo la riforma sarà necessario ripensare i collegi elettorali: dovrà farlo il governo entro 60 giorni dall’entrata in vigore della modifica costituzionale. Potrà farlo attraverso l’approvazione di una legge elettorale, condizione che il PD aveva posto per dare il proprio sostegno al Sì: la commissione Affari costituzionali della Camera ha già adottato un disegno di legge come testo base, un sistema proporzionale con soglia di sbarramento al 5 per cento, ma non tutti sono d’accordo. Se i collegi non saranno modificati in tempo dalla nuova legge elettorale, quella attuale sarà integrata da una norma approvata durante il 2019 che prevede un taglio dei tre ottavi dei collegi previsti dall’attuale legge elettorale.

Dovranno necessariamente essere rivisti anche i regolamenti parlamentari, soprattutto per quanto riguarda le procedure che prevedono il quorum o la composizione delle Commissioni permanenti, per le quali è ora prevista una proporzionalità con i numeri dei gruppi.

Per quanto riguarda l’elezione del prossimo presidente della Repubblica, la modalità varierà a seconda della tenuta della legislatura. Se l’attuale governo durerà non cambierà niente: la prossima elezione si terrà nel 2022 con le regole pre-riforma. Se invece si andrà a votare prima di quella data e ci sarà una nuova legislatura, nel febbraio del 2022 a eleggere un nuovo presidente della Repubblica saranno 600 parlamentari e non più 1009, i senatori a vita e, come prima, 58 delegati regionali (ogni consiglio regionale elegge tre delegati, a eccezione della Valle d’Aosta che ne elegge uno). Questo modificherà il numero dei votanti (nei primi tre scrutini è richiesta la maggioranza di due terzi, mentre dalla quarta votazione in poi basta la maggioranza assoluta), ma soprattutto e di conseguenza il peso dei delegati regionali. Per questo è stata proposta una modifica che prevede il taglio di un terzo dei delegati regionali per l’elezione del presidente della Repubblica.