Valentino Rossi compie 42 anni. Ma la fame di vittoria non si placca
Molti degli avversari del motociclista potrebbero essere suoi figli, la sfida però è con se stesso
Nonostante l'aria gioviale e la grinta, nel giorno del suo 42° compleanno sono principalmente due gli interrogativi sul Doc di Tavullia 9 volte campione del mondo: come andrà quest’anno alla sua 26esima stagione iridata dopo 414 gare, 115 vittorie, 235 podi, 65 pole, 96 giri veloci? E che farà alla fine del 2021, attaccherà il casco al fatidico chiodo? Su quest’ultima domanda le tifoserie si dividono: i fan del Dottore lo vorrebbero in pista almeno anche nel prossimo anno da gran protagonista e addirittura ancora in lizza per il titolo mentre i suoi detrattori dicono “basta!” considerandolo oramai un comprimario, non più in grado di battersi alla pari con i tanti assettati di vittoria “giovani leoni” presenti.
È un fatto che gli anni passano per tutti e che nel motociclismo è in corso un forte ricambio generazionale: il campione del Mondo in carica Joan Mir con i suoi 23 anni potrebbe essere anagraficamente figlio di Valentino; il suo nuovo compagno di Team e vice iridato MotoGP 2020 Franco Morbidelli è più giovane del suo mentore di 16 anni; il pilota che lo ha sostituito nel team ufficiale Yamaha, Fabio Quartararo, ha 21 anni, la metà di quelli di Valentino. Per non parlare di Marc Marquez, out nel 2020 per il noto incidente di Jerez, che il 17 febbraio compie 28 anni, con già in tasca 8 titoli mondiali, di cui 6 in MotoGP. Per di più, dopo 15 stagioni (e quattro titoli mondiali vinti) Rossi quest’anno non sarà nella squadra ufficiale Yamaha e si vedrà presto se ciò costituirà per lui un gap da “mazzata finale” o, invece, data la minor pressione, un inedito stimolo positivo, quindi un vantaggio.
Se le classifiche contano sempre, sia quando sono positive sia quando sono negative, dal 2009 pesano come un macigno per l’asso di Tavullia che non vince un mondiale da 11 anni e non vince una gara dal 2017 (Assen) chiudendo il 2020 al quindicesimo posto finale, il peggior risultato di sempre. Nel 2008, per celebrare il ritorno sul gradino più alto del mondiale dopo il terzo e il secondo posto nei due anni precedenti, Valentino indossò una maglia con scritto: “Scusate il ritardo” parafrasando il film di Massimo Troisi. Da allora sono trascorsi 13 anni e chissà dove Valentino avrà riposto quella t-shirt bianca con disegnato una sveglia gialla, magari tutta scolorita. Forse, o senza forse, nelle ultime stagioni Rossi non ha corso come nei suoi giorni di gloria e nel 2020, come mai prima, sul suo viso nel dopo gara, si scorgevano l’irrigidimento e la smorfia della delusione per una stagione da dimenticare e per un futuro agonistico pieno di incognite.
Resta il fatto, a dimostrazione di uno smalto inossidabile, che ancora nel triennio 2014-2015-2016 Rossi era ancora lì: chiudeva sempre al secondo posto, poi quinto nel 2017, ancora sul podio, terzo nel 2018 prima dell’ultimo deludente biennio 2019-2020 dove comunque giunge due volte secondo e quattro volte quarto nella penultima stagione e sale una volta sul podio l’anno scorso: poco, troppo poco, ma meglio di niente. Il Dottore di Tavullia, almeno nell’immaginario collettivo, resta il Valentino di sempre: un ragazzo, d’età, di spirito, di mente, di gran manico che in pista è l’unica cosa che conta.
Il Dottore di Tavullia, almeno nell’immaginario collettivo, resta il Valentino di sempre: un ragazzo, d’età, di spirito, di mente, di gran manico che in pista è l’unica cosa importante.