Un anno senza Kobe Bryant, un amore speciale per l'Italia

Lunedì, 25 Gennaio 2021. Nelle categorie Cronaca, Primo Piano, Sport, Notizie

Un anno senza Kobe Bryant, un amore speciale per l'Italia

La prima volta nel Bel Paese a 6 anni per seguire il padre che giocava a basket

L’Italia nel cuore di Kobe Bryant. Cercando di riavvolgere il filo di una storia interrotta drammaticamente esattamente un anno fa. L’Italia conosciuta nel 1984, quando papà Joe – chiusa la carriera nella NBA – si trasferisce a Rieti.

Passa le mattine alla scuola pubblica Lisciano, sulla Terminillese. Impara talmente bene l’italiano che sarà lui l’interprete di famiglia. Il pomeriggio, il piccole Kobe va all’allenamento con il papà, al Palaloniano. Sta lì, osserva, gioca, impara, vuole sfidare i ragazzi più grandi.

La seconda tappa italiana è Reggio Calabria: è lì che si trasferiscono papà Joe, mamma Pamela, il piccolo Kobe e le sorelle Sharia e Shaya.

È qui che comincia a giocare seriamente a minibasket. E nell’intervallo delle partite c’era il «Kobe Bryant Show»: il ragazzino si piazzava in mezzo al campo, guardava la gente attorno, iniziava a palleggiare e poi andava al tiro. Altra stagione, altra avventura su e giù per l’Italia: dal 1987 al 1989 Joe e famiglia sono a Pistoia; per poi spostarsi a Reggio Emilia (qui nel primo anniversario della morte la dedica della prima piazza a Kobe e Gianna Bryant) per un altro biennio, dove Kobe comincia a splendere di luce propria.

Sono gli anni in cui il Milan di Sacchi – e di Maldini, Gullit, Rijkaard, Baresi – vince in Italia e in Europa dando spettacolo. E Kobe diventa milanista. Un tifoso vero, appassionato, «sono rossonero nel sangue», dirà più avanti; un tifoso che – da Los Angeles, divenuto una stella planetaria – appena potrà seguirà le partite della sua squadra del cuore.

Totale: tra amatriciana e soppressata, tra tortellini e focaccia, sette anni e quattro città in Italia per Kobe, dal 1984 al 1991, dai 6 ai 13 anni, nell’età in cui si cresce, ci si forma, si dà identità alle proprie ambizioni. E il «Kobe italiano» viene su con un unico obiettivo: diventare il più forte.


Basti qui ricordare un aneddoto: nel 1989, a 11 anni, Kobe si sta allenando con la squadra giovanile di Reggio Emilia, ma durante un allenamento si fa male al ginocchio, è costretto a tornare negli spogliatoi, zoppica. Quando i compagni lo raggiungono Kobe sta piangendo a dirotto, è un pianto disperato. Tutti cercano di consolarlo, Kobe singhiozza, si arrabbia, urla che questo infortunio gli precluderà la carriera nella NBA, perché è chiaro che lui – dice ai compagni – diventerà un campione della NBA. Compagni e allenatori ridono, si danno di gomito, scherzano. Ma Kobe resta serio. Sette anni dopo, nel 1996, farà il suo debutto nella NBA.

Da un punto di vista sentimentale Kobe può considerarsi un cittadino onorario, il nostro Paese l’ha sempre portato nel cuore e nei ricordi. Un po’ di Italia l’ha trasmessa anche ai nomi delle figlie, Natalia Diamante, Bianka Bella, Capri Kobe e Gianna Maria-Onore, quest’ultima scomparsa con il padre a soli 13 anni nell’incidente in elicottero di un anno fa.