Sara Errani, la favola continua Parigi è per le italiane
Tennis, in finale con la Sharapova e fra le top 10 del mondo
Battuta anche la Stosur: "Merito della racchetta più lunga"
Da tre anni il tabellone femminile del più europeo e chic degli Slam è diventato una provincia azzurra. Nel 2010 la vittoria di Francesca Schiavone, l'anno scorso la finale bissata dalla Leonessa, stavolta la possibile impresa è ancora più inattesa. A sbretellare lo stupore è Sara Errani, la Formica Atomica, che dopo Ivanovic e Kuznetsova ha sfiancato in tre set (7-5, 1-6, 6-3) un'altra signora dello Slam, la body-builder dal cuore fragile Samantha Stosur, campionessa in carica degli Us Open, conquistando la terza finale made in Italy in tre anni.
Domani dovrà sfidare la più pericolosa di tutte le creature dotate di racchetta, la Medusa siberiana Maria Sharapova, da ieri nuovamente n. 1 del mondo; ma con la vittoria strappata ai muscoloni ciechi dell'australiana, Cichi, la sorellina di ferro di Pennetta e
Schiavone, è già sicura di diventare la terza top-10 italiana di sempre dopo Flavia e Francesca. Quest'anno aveva già raggiunto i quarti in Australia e a Roma, vinto tre tornei, eppure a Parigi era arrivata «solo» da n. 24 del mondo.
«Non so se mi sento adeguata a questa impresa enorme», dice Sara, che in campo ha pianto di gioia ma ha subito ritrovato la sua calma dolce, un poco zen, molto emiliano-romagnola, da ragazza abituata a non staccare mai troppo le suole da terra. «Riflettere su quello che sto facendo non aiuta. Devo solo continuare a pensare a giocare a tennis, che è poi la cosa che mi piace di più. I conti li farò a fine torneo. O forse a fine carriera». Cuore largo, cervello fino.
La sua giovane ava Schiavone le ha mandato un messaggio: «Sara sa divertirsi in campo, è la sua arma in più. Ha lavorato tanto, con determinazione, è cresciuta. Guarderò la finale, forza Sara».
Eravamo abituati al caos incantevole di Francesca, ai suoi nervi perennemente tesi. Ci stiamo adattando alla pazienza da scacchista, al fosforo sublime di Sara. Due modi di guardare allo stesso progetto: in un tennis femminile fatto quasi solo di botte omogeneizzate anche la donnina Errani spariglia, scombina, varia. Con giudizio. Usa il cervello per dominare avversarie costruite per schiacciarla fisicamente. «Sembrano tutte più forti di lei - sogghigna Corrado Barazzutti - ma alla fine è lei che le sta tritando tutte».
«Se fosse un calciatore direi che assomiglia a Pirlo», sorride il fratello manager Davide, un passato da pedatore nelle Nazionali giovanili. «Due anni fa nessuno avrebbe mai immaginato un risultato del genere, ma Sara è sempre stata così, talento e determinazione».
Anzi, come dice mascherando l'emozione con gli occhiali scuri papà Giorgio, grossista di frutta e verdura, «tenacia, determinazione e intelligenza. A 12 anni già sceglieva lei gli allenatori, è successo così anche con Lozano quando è andata in Spagna. Negli Stati Uniti a 13 anni ce la mandai quasi per scherzo: eravamo in Florida per l'Orange Bowl, le chiesi se voleva rimanere, mi disse di sì. Da Bollettieri (dove c'era anche la Sharapova, l'avversaria di domani, ndr) piangeva tutte le sere, ma non ha mai mollato. Rifarei tutto, tutti i sacrifici, l'unica cosa che mi spiace è che in Italia quando era piccola è stata snobbata dagli esperti del settore. A 14 anni e mezzo era la più forte di tutte, ma nessuno la considerava». Cervelli in fuga. Anche nello sport siamo bravi a fare gruppo, famiglia, non a fare scuola.
Entrata in campo con un'ora di ritardo per colpa di un temporale, Sara contro la Stosur è stata brava due volte. Sullo 0-2 del primo set, non scoraggiandosi e finendo per imbrigliare tatticamente il tennis selvaggio, potente (12 ace) ma stolido della cangura. E all'inizio del 3° set, dopo la bufera del 2°, perso 6-1 nel vento davanti a una Stosur rinfrancata.
«Per un attimo Sara è tornata italiana - dice coach Lozano, da 8 anni con lei -. Si lamentava, diceva "che sfiga". Dopo la sosta al bagno ho rivisto la Sara che conosco, quella che fa sempre la cosa giusta anche quando l'emozione si fa sentire». Però due anni fa Sara era una "normale", ora è in finale a Parigi.
«Non mi sento trasformata - assicura lei -. Il merito è della racchetta Babolat, più lunga di un centimetro, che mi dà più forza. Appena l'ho provata ho capito che avrei potuto finalmente giocarmela con le più forti e questo ha aumentato l'autostima. Per il resto ho fatto sempre le stesse cose. Non me l'aspettavo neanch'io, ma ora sono qui». Una piccola impresa, diventata enorme.