Jannik Sinner spaziale vince l'Australian Open: una mentalità adulta a 22 anni
Il fenomeno del tennis è un «ragazzo» che piace a tutti perché si comporta da uomo
«Quel ragazzo diventerà per il tennis ciò che Alberto Tomba e Valentino Rossi sono stati per lo sci e per il motociclismo italiani». Quando l’ineluttabilità del suo destino sportivo ha cominciato a diventare evidente, la frase di cui sopra è stata ripetuta così tante volte tra gli addetti ai lavori, da trasformarsi in un luogo comune. Ma c’era un errore in quelle parole, ed è stato proprio il diretto interessato a sottolinearlo.
Jannik Sinner ha ventidue anni, e pensa come un uomo. Al pari dei suoi illustri predecessori, è ormai avviato a diventare una figura che va oltre allo sport, che unisce un Paese davanti alla televisione per una disciplina fino a poco tempo prima considerata di nicchia. Lo sta facendo però a modo suo, con modalità inedite alle nostre latitudini. Con un atteggiamento semplice, da persona educata e rispettosa, del tutto priva di quell’atteggiamento guascone , talvolta sopra le righe e fuori dalle regole in senso buono, che ha parzialmente contribuito a determinare la mitologia sorta intorno a Tomba e Rossi.
Il primo campione Slam italiano dopo 48 anni, una traversata nel deserto che trova pochi uguali negli sport individuali, sta invece facendo breccia nel cuore degli italiani a colpi di normalità e di un minimalismo emotivo che non tollera strepiti o compiacimenti. Esibendo una indole antica che sembra quasi in contrasto con lo spirito del tempo. È come appare quando gioca. Sempre misurato, mai fuori dalle righe, anche nelle difficoltà. Quando ha perso il terzo set contro Novak Djokovic, si è seduto e ha dato una spintarella di stizza a una borraccia. Tutto qui. Mentre la finale gli stava sfuggendo di mano, sul 4-4 del terzo set, ha mormorato in modo quasi impercettibile al suo angolo che si sentiva «morto». Per poi subito rinascere. Perché sapeva cosa fare. Perché dà sempre l’impressione di essere in controllo di sé stesso, se non degli eventi.
Sinner, timido e riservato
Sinner possiede un pudore tipico della sua terra di provenienza che gli fa detestare l’ostentazione. Sopporta i social media, considerandoli come un prezzo da pagare alla popolarità e ai vantaggi economici che ne derivano. Ama restare nell’ombra e parla quasi sempre di lavoro, della necessità di migliorarsi, come se solo quella fosse l’unità di misura con la quale accetta di essere valutato, il resto è rumore di fondo, lustrini, comparsate mondane da subire nel nome del conto corrente, e una privacy da difendere a denti stretti . Quello che non può dire, lo fa capire. L’essenziale, e nient’altro.
Mentre ieri gran parte dell’Italia social lo celebrava definendolo «ragazzo italiano», lui a Melbourne intanto parlava di sé stesso definendosi senza problemi «un uomo», e intanto spiegava le ragioni del suo omaggio ai genitori raccontando la difficoltà di una separazione avvenuta quando era appena adolescente. Forse è questo il mistero glorioso di Sinner. Una maturità che (sbagliando) spesso fatichiamo ad attribuire a persone di quella età, derivante dall’aver dovuto fare ben presto scelte di vita importanti. Prima la partenza da casa. Poi la decisione di cambiare allenatore e staff, recidendo un altro cordone ombelicale, mantenendo la capacità di difendere il proprio lavoro anche quando non stava dando i risultati sperati. Sinner si è sempre preso la responsabilità delle proprie scelte.
«Morto, sono morto». Lo diceva, e intanto sapeva di dover rifiutare la sconfitta, di stare lì, come gli gridavano i suoi coach. Ieri Sinner è diventato Campione con la maiuscola attraversando ogni possibile stato d’animo, sofferenza, agonia, resurrezione e infine estasi. In uno sport per malati di mente come il tennis, dove in un attimo puoi passare dal trionfo al disastro, dove una partita che può essere persa in dieci minuti dura altre tre ore, equilibrio e consapevolezza di sé stessi servono come il pane. Non è solo il fatto che si appresta a diventare il nostro tennista più forte di sempre, principale artefice di un cambio di stagione epocale che manda nel solaio dei ricordi la dinastia della Santissima Trinità Federer-Nadal-Djokovic. Chi sosteneva che proprio a causa di questo suo rifiuto di essere per forza un personaggio sarebbe stato amato solo per quanto avrebbe vinto, si deve ricredere.
L’impronta che Jannik Sinner si appresta a lasciare sul nostro sport è quella di un «ragazzo» che piace a tutti perché si comporta da uomo. Da persona seria, in campo e fuori. Nient’altro. Per quanto silenziosa, anche questa è una rivoluzione.