Una foto condivisa dalla presentatrice svizzera sui social ha suscitato l'entusiasmo dei fan
Alvaro Vitali dalle stelle alle stalle: «Oggi vivo con 1.200 euro di pensione»
"Mi hanno dimenticato, chiedo solo di farmi fare un ultimo film"
Dal simbolo di una generazione e di un certo cinema popolare grazie alla saga di Pierino al ruolo di comprimario nell'industria, nella speranza che qualcuno gli dia un'ultima occasione per dimostrare ancora una volta il proprio talento. Alvaro Vitali, 72 anni, non ha niente da perdere, e affida in un'intervista i ricordi di una carriera che lo ha portato al successo prima di respingerlo ai margini come spesso accade. «Non sapevo neanche chi fosse, io al cinema andavo a vedere i film con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia», dice Alvaro Vitali ricordando Federico Fellini, il primo a dargli un'opportunità.
«Avevo 18 anni e guadagnavo 16mila lire a settimana. Poi sono stato reclutato per una parte di Satyricon. Settantamila lire al giorno, per sette giorni di lavoro». Dopo quel film, Fellini lo chiamò per altre parti: «Lo divertiva la mia indole popolare. Mi chiedeva: “Ti è piaciuto Giulietta degli spiriti?” “Sì”, mentivo. “E cosa ci hai capito?” “Un cazzo, dottore”. Fellini ne rideva». Con i primi soldi guadagnati «comprai casa a nonna Elena, in via Oderisi da Gubbio, nel quartiere Marconi. Sono stato a casa con lei dagli 8 ai 32 anni. Con mia madre erano litigate continue...», racconta Vitali.
Il successo, però, lo ha investito dopo: «Amarcord mi diede notorietà. Il regista Nando Cicero, che era stato l’aiuto di Francesco Rosi, stava preparando L’insegnante, con Edwige Fenech. Mi chiamò. Dovevo interpretare un alunno siciliano che le sbavava dietro. Non poteva chiedermi di meglio: mi ero sempre ispirato a Lando Buzzanca», racconta Vitali, forte di più di cinquanta film. «Se ero ricco? Cambiavo macchina e donne ogni 3 mesi. Ero così famoso che non potevo entrare nei ristoranti», racconta Alvaro Vitali prima di affrontare il buio e il silenzio che ne è seguito. «Poi il telefono ha smesso di squillare. Non mi spiego il perché. Ero popolarissimo. E lo sono ancora a 72 anni. Mi fermano per strada, mi chiedono i selfie. “Alvaro, tu sì che ce facevi divertì”, dicono. Io ho salvato il cinema commedia italiano», dice. E ora? «Dopo un periodo di depressione, arrotondo facendo spettacoli, nei teatri, soprattutto al Sud. A Roma poco, non c'è il culto della serata. Di pensione ora prendo 1.200 euro. Mi hanno fregato un sacco di contributi». Oggi per il futuro ha solo un'ambizione: "Vorrei fare un ultimo film, per fargliela vedere a chi non ha più creduto in me".